quando essere bloccati è questione di scelta personale e di responsabilità verso gli altri.
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Il silenzio e la responsabilità
sono le otto di una domenica mattina, del mese di marzo 2020.
il mio cane quindicenne, dopo che ci ha fatto credere che stava per morire, stamattina sta bene e vuole scendere per fare i suoi bisogni. Prendo la spazzatura, mi cambio le scarpe e indosso quelle nere che ormai odio, sempre ferme davanti alla porta di casa con tutti i loro germi accumulati sulle strade deserte in queste settimane di quarantena. Le odio ma le apprezzo; stringo i lacci prendo il guinzaglio ed entro nell’ascensore, anch’esso potenziale sterminatore.
Apro il portone e sono in uno stato di trance: il silenzio è irreale perché non ci sono nemmeno i camioncini che di solito portano le derrate alimentari ai supermercati. Il silenzio non è solo di questa zona della città, ma sale da tutta la città, manca il rombo sottile che di solito è in sottofondo.
Sono settimane che attraverso la strada senza nemmeno guardare il semaforo pedonale, ma sono immersa nei miei pensieri, anzi, non penso proprio a nulla, sulla destra il guinzaglio, sulla sinistra il sacchetto con l’umido.
Mentre to attraversando la strada vedo un uomo che avanza zoppicando; anzi, ondeggia, mi guarda senza vedermi, appoggia una mano al muro e vomita.
Poi rialza la testa e mi guarda. In giro non c’è proprio nessuno.
Infilo la mano destra nella tasca dove c’è il cellulare: potrei chiamare il 113 se mi si avvicina, ma poi penso che potrebbe rubarmi il cellulare.
Allora stringo con forza le chiavi di casa, con quella lunga come fosse un pugnale.
Mi fermo e cerco di evitare il suo sguardo. Sono nel mezzo e non so se proseguire verso di lui o tornare indietro attirando di più la sua attenzione e senza avere la possibilità di vedere cosa fa.
Fingo che il cane abbia qualcosa e mi accuccio proprio sulle rotaie del tram: metto velocemente le chiavi nella mano destra e il guinzaglio nella sinistra. Lui tace e riprende a camminare, sembra così ubriaco da non potersi reggere in piedi. Sono le otto del mattino e per la strada ci siamo solo io e lui e il mio vecchio cagnetto malaticcio.
Mi si spalanca davanti agli occhi lo scenario futuro possibile: il pericolo di uscire di casa da sole in una città deserta, ma tutta deserta, tutta silenziosa, nemmeno una persona sul terrazzino che prende aria.
Lui mi supera e prosegue il suo camminare incerto, potrebbe avere 30 anni, forse, penso io, sta male di suo, forse non è ubriaco.
Decido di attraversare la strada mentre il mio cervello furiosamente si mette in modalità difensiva: faccio così, poi faccio cosà, e poi…
Sento arrivare una automobile, che però sta andando piano, silenziosa e lenta e allora mi volto e vedo che in cima ha i lampeggianti spenti e quindi mi metto sul ciglio della strada, il mio bel sacchetto giallo dell’umido nella mano sinistra, il mio cagnetto malaticcio che non capisce perché ho deciso improvvisamente di fermarmi, e alzo l’indice della mano destra, ma di poco, lo sollevo davanti al petto incerto perché mi rendo conto che l’emergenza è solo nella mia testa, non “è successo niente”, è solo il senso di allarme e pericolo che da settimane ci attanaglia, è la mia amica negli Usa che mi parla di genocidio perpetrato da Trump, è la mia amica in Australia che è terrorizzata per il suo studio dentistico, è la conta dei morti, è i’incertezza economica, è il silenzio che assorda, è il mio atavico istinto di sopravvivenza che mostra pericoli dove forse non ci sono, da quando in qua sono diventata un delatore? ma il mio dito resta dritto davanti a me, un punto interrogativo cauto e penso che probabilmente nemmeno lo vedranno e invece la macchina si ferma.
E’ una macchina della Guardia di Finanza e un uomo con la mascherina e guanti azzurri di lattice ha già abbassato il finestrino e mi dice solo:- sì?
Allora capisco che non sono proprio sola in una città deserta, prendo fiato e dico:- scusate ma quel ragazzo lì sta male, ha vomitato e non sta in piedi da solo- e indico con la testa verso il ragazzo, ora accucciato e nascosto da una macchina parcheggiata, una macchia scura che cerca di capire come sopravvivere.
La risposta è:- grazie- e io porto il cane a fare i suoi bisogni cercando di capire se ho fatto bene o se ho fatto male mentre loro girano l’automobile e vanno verso di lui.
Io proseguo la mia piccola passeggiata, raccolgo le feci del cane che sono piccole piccole, e penso, rientro nel mio pensare silenzioso senza pensieri, di nuovo sono come in trance.
Dopo pochi minuti sono di nuovo davanti al mio portone e li vedo: la macchina della guardia di finanza è affiancata da quella dei Carabinieri. Un poliziotto ha aperto il bagagliaio e ha tirato fuori un telo che porge all’uomo ancora accucciato. L’uomo lo prende, lo stende sul gradino e ci si siede sopra. Forse sta per arrivare un’ambulanza. Nella strada c’è un’aria densa di attesa.
Io rientro in casa e non posso non pensare che le persone più fragili nel prossimo futuro non saranno coloro che perderanno il lavoro, ma saranno coloro che si lasceranno prendere dalla disperazione, che daranno le colpe al governo, ai cinesi, ai poliziotti.
I più deboli saranno anche i più pericolosi, perchè i disperati non hanno più niente da perdere; penso che sono contenta che il governo giusto ieri si sia preoccupato di tutte quelle persone che non riescono più a fare la spesa. Perché i più deboli sono coloro che non hanno una rete famigliare di sostegno, non una di amicizie confortanti e soprattutto, non hanno la forza interiore per andare avanti. E’ perchè ci sono i più deboli che l’Italia è in lockdown, coloro che scappano da Milano in preda al panico, coloro che prendono l’automobile per andare nella seconda casa, coloro che corrono sugli argini insieme agli altri singoli corridori.
Sto imparando che la democrazia si basa principalmente sul mio senso di responsabilità nei confronti dei più deboli: la mia città deserta è per me esempio di senso civico e di democrazia e di forza di carattere. Tutti patiamo la limitazione della nostra libertà senza avere colpe e senza sapere la fine, nessuno escluso.
Eppure c’è in noi la forza di farlo. E francamente, ne sono ammirata.
Musiche originali di Massimo Moretti per maxmoremusic
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